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<title>Rivedere il diritto d'autore: l'interesse pubblico prima di tutto - Progetto
GNU - Free Software Foundation</title>
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<h2>Rivedere il diritto d'autore: l'interesse pubblico prima di tutto</h2>
<pre>
Reevaluating Copyright: The Public Must Prevail
[Pubblicato nella Oregon Law Review, primavera 1996]
Richard Stallman
</pre>
<p>Il mondo del diritto è consapevole che le tecnologie digitali
dell'informazione pongono "problemi di copyright", ma non ha ricondotto
questi problemi alla loro causa prima: un fondamentale conflitto tra gli
editori delle opere tutelate dal copyright e gli utenti di queste
opere. Gli editori, sulla base del proprio interesse, hanno sottoposto un
disegno di legge al governo Clinton ridefinendo i "problemi" in modo da
risolvere il conflitto in loro favore. Questa proposta, il Libro Bianco di
Lehman <a href= "#ft2">[2]</a>, è stata il principale argomento di
dibattito alla conferenza "Innovazione e ambiente dell'informazione"
tenutasi all'Università dell'Oregon nel novembre 1995.</p>
<p>John Perry Barlow <a href="#ft3">[3]</a>, il principale relatore, ha aperto
la conferenza raccontandoci come il complesso dei Greatful Dead comprese e
affrontò questo conflitto. Decise che sarebbe stato sbagliato interferire
con la riproduzione dei concerti su nastro o con la loro distribuzione su
Internet, ma non trovò niente di sbagliato nell'avvalersi del diritto
d'autore (copyright) per i CD ufficiali contenenti la loro musica.</p>
<p>Barlow non ha analizzato le ragioni del diverso trattamento di questi
supporti musicali, e successivamente Gary Glisson <a href= "#ft4">[4]</a>
ha criticato l'idea di Barlow che la rete Internet sia inesplicabilmente
unica e senza uguali nel mondo. Ha obiettato che dovremmo essere in grado
di determinare le implicazioni di Internet per le politiche di copyright
mediante lo stesso tipo di analisi che applichiamo alle altre tecnologie.
Questo è per l'appunto l'intento del presente articolo.</p>
<p>Barlow ha suggerito che le nostre intuizioni derivate dalla proprietà degli
oggetti fisici sono inapplicabili alla proprietà dell'informazione perché
l'informazione è "astratta". Come ha rilevato Steven Winter <a
href="#ft5">[5]</a> la proprietà astratta esiste da secoli. Le azioni
societarie, i future sulle merci e anche la carta moneta sono forme di
proprietà più o meno astratta. Barlow e altri che sostengono che
l'informazione debba essere libera non rifiutano questi altri tipi di
proprietà astratta. Evidentemente, la differenza cruciale tra
l'informazione e altri tipi accettabili di proprietà non è l'astrattezza in
se stessa. Quindi qual è la differenza? Propongo una spiegazione semplice e
pratica.</p>
<p>La legge statunitense sul copyright considera quest'ultimo un contratto tra
il pubblico e gli "autori" (benché in pratica, nel contratto gli editori
rilevano solitamente il ruolo degli autori). Il pubblico baratta certe
libertà in cambio della possibilità di fruire di una maggior quantità di
opere pubblicate. Fino al Libro Bianco, il governo non aveva mai proposto
che il pubblico dovesse cedere <b>tutta</b> la sua libertà per utilizzare
opere pubblicate. Il copyright implica la rinuncia a determinate libertà e
la conservazione di altre. Questo significa che ci sono molti contratti
alternativi che il pubblico può offrire agli editori. Ora, qual è il
miglior contratto per il pubblico? A quali libertà conviene rinunciare e
per quanto tempo? La risposta dipende da due considerazioni: quante
pubblicazioni in più il pubblico può ottenere in cambio della cessione di
una libertà e quanto invece il pubblico trae vantaggio dalla conservazione
di questa libertà.</p>
<p>Queste considerazioni dimostrano perché sia un errore prendere decisioni
sulla <a href="#later-1">proprietà intellettuale</a> in base all'analogia
con la proprietà di oggetti fisici o anche in base a precedenti politiche
inerenti la proprietà intellettuale. Winter ha argomentato in modo
persuasivo come sia possibile effettuare tali analogie, estendere cioè i
nostri vecchi concetti e applicarli a nuove decisioni <a
href="#ft6">[6]</a>. Sicuramente in tal modo si perviene a una risposta, ma
non a una buona risposta. L'analogia non è un modo utile di decidere cosa
comprare e a che prezzo.</p>
<p>Per esempio, non decidiamo se costruire un'autostrada a New York per
analogia a una precedente decisione su un'autostrada proposta nell'Iowa. In
ogni decisione sulla costruzione dell'autostrada, si applicano gli stessi
fattori (costo, quantità di traffico, confisca di terre o case); se
prendessimo la decisione per analogia a una precedente, dovremmo accogliere
ogni proposta di costruzione o rifiutarle tutte. Invece giudichiamo
ciascuna proposta di autostrada basandoci sui pro e i contro, la cui entità
varia da caso a caso. Anche nelle questioni di copyright dobbiamo soppesare
costi e benefici in base alla situazione odierna e ai media odierni, non in
analogia a ciò che valeva per altri media nel passato.</p>
<p>Queste considerazioni dimostrano anche perché il principio di Laurence
Tribe, secondo cui i diritti concernenti la parola non devono dipendere
dalla scelta del mezzo di comunicazione <a href= "#ft7">[7]</a>, non è
applicabile alle decisioni in materia di copyright. Il copyright è un
contratto con il pubblico, non un diritto naturale. Le questioni di
politica del copyright riguardano quali contratti sono vantaggiosi per il
pubblico, non quali diritti sono stati riconosciuti agli editori o ai
lettori.</p>
<p>Il sistema del copyright si è sviluppato parallelamente all'avvento della
stampa a caratteri mobili. Nell'epoca della stampa era impossibile per un
comune lettore riprodurre un libro. La copia a mezzo stampa di un libro
richiedeva un torchio tipografico, non alla portata dei comuni lettori. Per
di più, una copia siffatta era estremamente costosa, a meno di non fare
molte copie, il che significa, in effetti, che solo un editore avrebbe
potuto riprodurre un libro in maniera economica.</p>
<p>Così quando il pubblico cedette agli editori la libertà di riprodurre
libri, in effetti rinunciò a qualcosa di cui <b>non poteva
usufruire</b>. Cedere beni che non si possono utilizzare in cambio di
qualcosa di utile e vantaggioso è sempre un buon affare. Perciò il diritto
d'autore non era soggetto a discussione nell'era del torchio da stampa,
proprio perché non limitava nulla che il pubblico dei lettori potesse
facilmente fare.</p>
<p>Ma l'epoca della stampa sta gradualmente giungendo alla sua fine. Le
fotocopiatrici, le cassette audio e video hanno iniziato il cambiamento; le
tecnologie digitali dell'informazione lo portano a compimento. Questi
progressi rendono possibile la riproduzione alla gente comune, non solo a
editori forniti di attrezzatura specializzata. E la gente comune copia!</p>
<p>Una volta che la copia è diventata un'attività utile e realmente alla
portata di tutti, la gente non è più disposta a rinunciare alla libertà di
copiare: vuole anzi conservare questa libertà ed esercitarla, invece di
cederla ad altri. L'attuale contratto di copyright non è più un buon affare
per il pubblico, ed è tempo di rivederlo; è ora che la legge riconosca il
beneficio che il pubblico trae dal fare e distribuire copie.</p>
<p>Da questa analisi si vede come il rifiuto del vecchio contratto di
copyright non si basa affatto sulla presunta ineffabile unicità di
Internet. Internet è rilevante perché facilita la copia e la condivisione
di documenti da parte dei comuni lettori. Copiare e condividere, più è
facile più diventa utile, e più diventa un cattivo affare il copyright,
come è ora concepito.</p>
<p>Questa analisi spiega anche perché sia sensato per i Grateful Dead
insistere sul diritto d'autore per la produzione dei CD ma non per le
riproduzioni individuali. La produzione di CD funziona come la stampa: non
è possibile oggi per la gente comune, anche per i proprietari di computer,
copiare un CD in un altro CD. Così, il copyright per la produzione di CD
musicali risulta indolore per gli ascoltatori di musica, proprio come
tutto il copyright era indolore nell'epoca della stampa. Limitare la copia
della stessa musica in cassette audio digitali danneggia tuttavia gli
ascoltatori, ed essi hanno il diritto di respingere questa
limitazione. [nota del 1999: la realtà tecnologica dei CD è cambiata: ora
molti utenti comuni di computer possono copiare CD, e dovremmo quindi ora
equiparare i CD alle cassette; nota del 2007: nonostante l'evoluzione della
tecnologia del CD, ha ancora senso applicare il copyright alla distribuzione
commerciale ma lasciare libera la copia individuale.]</p>
<p>Possiamo anche vedere perché l'astrattezza della <a
href="#later-1">proprietà intellettuale</a> non sia il fattore
cruciale. Altre forme di proprietà astratta rappresentano porzioni di un
qualcosa. La copia di qualsiasi tipo di porzioni è intrinsecamente
un'attività a somma zero; la persona che copia ha benefici soltanto
togliendo beni ad altri. Copiare una banconota da un dollaro è in pratica
equivalente a sottrarre una piccola frazione di ogni altro dollaro e
mettere assieme queste frazioni fino a raggiungere la quota di un
dollaro. Naturalmente, lo consideriamo sbagliato.</p>
<p>Al contrario, la copia per un amico di informazioni utili, illuminanti e
divertenti rende il mondo più felice e migliore; l'amico ne riceve un
beneficio e nessuno viene danneggiato. È un'attività costruttiva che
rafforza i legami sociali.</p>
<p>Alcuni lettori potrebbero dubitare di questa affermazione perché sanno che
gli editori reclamano la copia illecita come "perdita". Questa
rivendicazione è per lo più inesatta e parzialmente ingannevole. Quel che
più importa è che presuppone ciò che invece deve essere dimostrato.</p>
<ul>
<li>L'affermazione è perlopiù inesatta perché presuppone che l'amico avrebbe
altrimenti acquistato una copia dall'editore. Questo talvolta è vero, ma
più spesso è falso; e quando è falso, la perdita asserita non sussiste.</li>
<li>L'affermazione è parzialmente ingannevole perché la parola "perdita"
suggerisce eventi di tutt'altra natura, eventi nei quali qualcosa che
hanno viene loro tolto. Per esempio, se si è incendiata la scorta di
libri della libreria, o se è stato sottratto il denaro dal registratore
di cassa, questa sarebbe realmente una "perdita". Siamo tutti d'accordo
che è sbagliato fare queste cose ad altre persone.
<p>Ma quando il tuo amico evita di dover comprare il libro, il libraio e
l'editore non hanno perso nulla che avevano. Una descrizione più
appropriata sarebbe che il libraio e l'editore ricavano meno di quello
che avrebbero potuto. Ma si avrebbe la stessa conseguenza se questo
amico decidesse di giocare a bridge, invece di leggere un libro. In un
sistema di libero mercato nessuna azienda ha il diritto di gridare "al
ladro!" solo perché un potenziale cliente sceglie di non trattare con
lei.</p>
</li>
<li>L'affermazione è una petizione di principio perché l'idea di "perdita" si
basa sull'assunzione che l'editore "avrebbe dovuto" essere pagato. Il che
si basa sull'assunzione che il diritto d'autore esista e proibisca copie
individuali. Ma questa è proprio la questione in discussione: che cosa
includere nel diritto d'autore? Se il pubblico decide di poter
condividere copie, allora l'editore non ha il diritto di aspettarsi di
essere pagato per ogni copia, e così non può affermare che ci sia una
"perdita", quando non ce n'è alcuna.
<p>In altre parole, la "perdita" è una conseguenza del sistema del diritto
d'autore (copyright), non è parte costitutiva del copiare. Il copiare in
sé non danneggia nessuno.</p>
</li>
</ul>
<p>La clausola più ampiamente osteggiata del Libro Bianco è il sistema di
responsabilità collettiva, per il quale il proprietario di un computer è
costretto a verificare e controllare le attività di tutti gli utenti, se
non vuole essere punito per azioni alle quali non ha partecipato, ma che
semplicemente non è riuscito a prevenire attivamente. Tim Sloan <a
href="#ft8">[8]</a> ha messo in evidenza che ciò pone i titolari del
copyright in una condizione privilegiata, non accordata a nessun altro che
possa affermare di essere danneggiato da un utente di un computer; per
esempio nessuno, almeno negli Stati Uniti, propone di punire il
proprietario del computer se non è riuscito ad evitare attivamente che un
utente diffamasse qualcuno. E' naturale per uno Stato rivolgersi alla
responsabilità collettiva per rinforzare una legge alla quale molti
cittadini non credono di dover obbedire. Più le tecnologie digitali aiutano
i cittadini a condividere le informazioni, più lo Stato avrà bisogno di
metodi draconiani per rafforzare il copyright contro i cittadini comuni.</p>
<p>Quando fu redatta la Costituzione degli Stati Uniti, l'idea che gli autori
avessero diritto al monopolio del copyright, non appena proposta, fu subito
rifiutata <a href="#ft9">[9]</a>. Invece, i fondatori della nazione
americana adottarono un'idea diversa di copyright, che mette il pubblico al
primo posto <a href="#ft10">[10]</a>. Negli Stati Uniti si suppone che il
copyright esista per il bene degli utenti; né i vantaggi per gli editori né
quelli per gli autori sono previsti in se stessi, ma solo per indurli a
cambiare i loro comportamenti. Come disse la Corte Suprema nella sentenza
della causa della Fox Film Corporation contro Doyal: "Il solo interesse
degli Stati Uniti e l'oggetto primario nel conferire il monopolio [del
diritto d'autore] poggiano sui benefici generici che il pubblico riceve
dalle opere degli autori". <a href="#ft11">[11]</a></p>
<p>In base a come la Costituzione considera il diritto d'autore, se il
pubblico preferisce essere in grado di fare copie in certi casi, anche se
ciò significa che meno opere sono pubblicate, la scelta del pubblico è
decisiva. Non c'è nessuna possibile giustificazione per proibire al
pubblico di copiare ciò che vuole copiare.</p>
<p>Da quando fu pronunciata la sentenza costituzionale, gli editori hanno
sempre cercato di capovolgere il senso del dettato costituzionale,
disinformando il pubblico. Lo fanno ripetendo argomentazioni che
presuppongono che il copyright sia un diritto naturale degli autori (senza
menzionare che gli autori quasi sempre lo cedono agli editori). A meno che
non abbia una salda consapevolezza che questa presupposizione è contraria
alle premesse basilari del sistema legale statunitense, chi sente queste
argomentazioni prende per buono che siano alla base del sistema.</p>
<p>Questo errore è oggi così radicato che chi si oppone ai nuovi poteri in
materia di copyright sente la necessità di argomentare che anche gli autori
e gli editori ne possano risultare danneggiati. Così James Boyle <a
href="#ft12">[12]</a> spiega come un sistema di stretta <a
href="#later-2">proprietà intellettuale</a> può interferire con la
scrittura di nuove opere. Jessica Litman<a href="#ft13">[13]</a> cita le
protezioni del copyright che storicamente hanno permesso a molti nuovi
media di diventare popolari. Pamela Samuelson <a href="#ft14">[14]</a>
avverte che il Libro Bianco può bloccare lo sviluppo della "terza ondata"
dell'industria dell'informazione, chiudendo il mondo in un modello
economico proprio della "seconda ondata", appropriato all'epoca della
stampa.</p>
<p>Queste argomentazioni possono essere molto efficaci in quelle questioni
dove sono utilizzabili, specialmente con un Congresso e un Governo dominati
dall'idea che "ciò che è bene per le multinazionali della comunicazione è
bene per gli USA". Ma sbagliano a esporre la fondamentale menzogna sulla
quale si basa questa situazione; come risultato, sono inefficaci a lungo
termine. Quando queste argomentazioni vincono una battaglia, non forniscono
comunque una comprensione generale che aiuti a vincere altre battaglie. Se
ci affidiamo troppo e troppo spesso a queste argomentazioni, il pericolo è
di consentire agli editori di sostituire il dettato costituzionale.</p>
<p>Per esempio, la posizione recentemente resa pubblica della Digital Future
Coalition, una federazione di organizzazioni, elenca molte ragioni per
opporsi al Libro Bianco, per il bene di autori, librai, educatori,
americani poveri, il progresso tecnologico, la flessibilità economica e
questioni di privacy: tutti argomenti validi, ma concernenti questioni
collaterali <a href="#ft15">[15]</a>. Vistosamente assente dall'elenco è la
più importante di tutte le ragioni: che molti americani (forse la maggior
parte) vogliono continuare a fare copie. La DFC evita di criticare
l'obiettivo fondamentale del Libro Bianco, quello di dare più potere agli
editori, e la sua decisione centrale, di respingere la Costituzione e
mettere gli editori al di sopra degli utenti. Questo silenzio può essere
preso per assenso.</p>
<p>La resistenza alle pressioni per dare maggiori poteri agli editori dipende
dalla consapevolezza diffusa che il pubblico dei lettori e degli
ascoltatori abbia un'importanza primaria e che il copyright esista per gli
utenti e non viceversa. Se il pubblico non vuole accettare certi poteri per
il diritto d'autore, questa è in se stessa una giustificazione per non
dargli questi poteri. Solo ricordando al pubblico e al corpo legislativo lo
scopo del diritto d'autore e l'opportunità di un libero flusso
dell'informazione si può garantire che l'interesse pubblico venga prima di
tutto.</p>
<h3>NOTE</h3>
<p id="ft2">[2] Informational Infrastructure Task Force, Intellectual Property and the
National Information Infrastructure: The Report of the Working Group on
Intellectual Property Rights (1995).</p>
<p id="ft3">[3] John Perry Barlow, Remarks at the Innovation and the Information
Environment Conference (novembre 1995). Barlow è uno dei fondatori
dell'Electronic Frontier Foundation, un'organizzazione che promuove la
libertà di espressione nei media digitali ed è stato in precedenza
paroliere per il gruppo dei Grateful Dead.</p>
<p id="ft4">[4] Gary Glisson, Remarks at the Innovation and the Information Environment
Conference (Nov. 1995); si veda anche Gary Glisson, A Practitioner's
Defense of the NII White Paper, 75 Or. L. Rev. (1996) (in difesa del Libro
Bianco). Glisson è partner e presidente dell'Intellectual Property Group
al Lane Powell Spears Lubersky a Portland, Oregon.</p>
<p id="ft5">[5] Steven Winter, Remarks at the Innovation and the Information
Environment Conference (Nov. 1995). Winter è professore alla School of Law
dell'Università di Miami.</p>
<p id="ft6">[6] Winter, si veda la nota 5.</p>
<p id="ft7">[7] Vedi Laurence H. Tribe, The Constitution in Cyberspace: Law and Liberty
Beyond the Electronic Frontier, Humanist, Sett.-Ott. 1991, a pagina 15.</p>
<p id="ft8">[8] Tim Sloan, Remarks at the Innovation and the Information Environment
Conference (novembre 1995). Sloan è membro della National Telecommunication
and Information Administration.</p>
<p id="ft9">[9] Vedi Jane C. Ginsburg, A Tale of Two Copyrights: Liberary Property in
Revolutionary France and America, in Of Authors and Origins: Essays on
Copyright Law 131, 137-38 (Brad Sherman & Alain Strowel, eds., 1994)
(in cui si afferma che gli artefici della Costituzione o intendevano
"subordinare ... gli interessi degli autori al pubblico vantaggio" o "dare
agli interessi pubblici e privati ... lo stesso peso").</p>
<p id="ft10">[10] Costituzione degli U.S.A., art. I, 8, comma 8 ("Il Congresso ha il
potere ... di promuovere il progresso della Scienza e delle Arti utili,
assicurando per periodi limitati ad Autori e inventori l'esclusivo Diritto
alle loro rispettive opere e scoperte.").</p>
<p id="ft11">[11] 286 U.S. 123, 127 (1932).</p>
<p id="ft12">[12] James Boyle, Remarks at the Innovation and the Information Environment
Conference (Nov. 1995). Boyle è professore di Diritto all'American
University di Washington, D.C.</p>
<p id="ft13">[13] Jessica Litman, Remarks at the Innovation and the Information
Environment Conference (novembre 1995). J. Litman è professoressa alla
Wayne State University Law School a Detroit, Michigan.</p>
<p id="ft14">[14] Pamela Samuelson, The Copyright Grab, Wired, gennaio
1996. P. Samuelson è professoressa alla Cornell Law School.</p>
<p id="ft15"><!-- (available at URL:
<a href="http://home.worldweb.net/dfc/press.html">
http://home.worldweb.net/dfc/press.html</a>)-->
[15] Digital Future Coalition, Broad-Based Coalition Expresses Concern Over
Intellectual Property Proposals, 15 novembre 1995.</p>
<h3>NOTE SUCCESSIVE</h3>
<p id="later-1">[1] Anche scrivendo questo articolo mi sono convinto che <a
href="/philosophy/not-ipr.html"> il termine “proprietà
intellettuale” è fuorviante</a>. Ora credo che non lo si debba mai
usare.</p>
<p id="later-2">[2] Qui sono caduto nell'errore di utilizzare il termine “proprietà
intellettuale” quando in realtà intendevo semplicemente
“copyright”. È come scrivere “Europa” quando
in realtà si intende“Francia”: crea confusione facilmente
evitabile.</p>
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<p>er informazioni su FSF e GNU rivolgetevi, possibilmente in inglese, a <a
href="mailto:gnu@gnu.org"><gnu@gnu.org></a>. Ci sono anche <a
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di link non funzionanti e altri suggerimenti relativi alle pagine web a <a
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<p>Copyright © 1996, 1999, 2016 Richard M. Stallman</p>
<p>Questa pagina è distribuita secondo i termini della licenza <a rel="license"
href="http://creativecommons.org/licenses/by-nd/4.0/">Creative Commons
Attribuzione - Non opere derivate 4.0 internazionale</a> (CC BY-ND 4.0).</p>
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Tradotto da Paolo Fezzi. Modifiche successive di Paolo Fezzi, Paolo
Redaelli, Alessandro Rubini, Antonio Cisternino, Lorenzo Bettini, Giorgio
V. Felchero, Paola Blason, Francesco Potortì, Andrea Pescetti.</div>
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Ultimo aggiornamento:
$Date: 2018/04/21 17:31:09 $
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